E' uno di quelli editi da Sellerio di Palermo, con quel formato-libriccino dalla copertina nera che io amo tanto.
Dirò, che ho amato Camilleri dalla prima lettura di quello che secondo me rimane il suo capolavoro, "Il birraio di Preston" e da allora non mi sono perso nessun volume della fecondissima produzione.
La rizzagliata è un racconto ambientato nella Palermo di oggi, dove udite udite, il commissario Montalbano, non solo non esiste, ma addirittura viene citato come fosse davvero un personaggio di finzione. Sacrilegio!
Il protagonista è Michele Caruso, il direttore del telegiornale regionale della Rai, il quale ci guida - non senza qualche incertezza - attraverso un mondo fatto di mafiosi, di politici corrotti e collusi, di banchieri corrotti e collusi, di colleghi ugualmente corrotti e collusi... e poi le mogli dei colleghi, le guardie, i giudici, i giornalisti, tutti corrotti e collusi. O quantomeno, tutti pupi nelle mani del grande puparo, il quale manovrerà, ora ammansendo, ora minacciando, ora ingannando, tutti gli attori di questa commedia delle parti.
Ne esce un racconto amaro, dove non ci sono eroi, ma dove i migliori semplicemente sapranno farsi da parte in tempo, quando la macchina prenderà a correre ed investirà, schiacciandoli, tutti coloro i quali saranno stati così sprovveduti o presuntuosi da trovarsi sul suo cammino.
Il racconto funziona, le meccaniche sono abbastanza convincenti.
E tuttavia.
Diciamo così, chi ama Camilleri ama il suo scrivere in un siciliano, una scrittura che pur conservando i suoi tratti caratteristici, è facilmente leggibile anche da un fiorentino emigrato a Milano. E' calda, è particolare e ti fa sentire in Sicilia.
Anche i suoi personaggi, di norma si fanno amare. Traspare, inconfondibile, una umanità tutta camilleriana che è il tratto caratteristico dei suoi racconti.
Confesso che ne La rizzagliata, di questa umanità non vi è traccia. Come anticipavo, tutti i personaggi sono meschini o fin troppo cinici nella migliore delle ipotesi. Senza scampo.
Ed anche la scrittura, mi sembra più asciutta, meno amichevole che non nei precedenti racconti.
Per sovrapprezzo, dirò anche che questo racconto mi sembra uscire dalla evoluzione delle tematiche trattate e dell' approccio utilizzato nel tempo dallo scrittore. Seguendolo fedelmente da oltre dieci anni, mi sembra come di aver accompagnato Andrea nel suo maturare, nel suo invecchiare.
Dirò la verità, questo racconto è forse il meno camilleriano di tutti i racconti di Camilleri.
Sembra un pò come se un ammiratore sconosciuto, avesse voluto rendere un omaggio al grande autore ed avesse realizzato un racconto cercando di ricalcarne lo stile e la vena.
Con un risultato appena accettabile.
Insomma, dovessi suggerire un racconto per conoscere Camilleri, non sarebbe questo.
mi rendo conto che Camilleri a malapena lo conosco! :/
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