domenica 20 dicembre 2009

Pane e tempesta di Stefano Benni


Mi piace Stefano Benni , mi piace la dolcezza delle sue storie e sopratutto la poesia dei suoi personaggi, che sono i veri protagonisti dei libri che scrive.
Ebbene il suo ultimo romanzo, Pane e Tempesta è proprio un libro manifesto del Benni-Pensiero.
Tra le sue pagine, radunati intorno al Bar Sport, troverete infatti tutta una galleria dei suoi migliori personaggi, ciascuno con le proprie strampalate peculiarità, ciascuno allegoria dei migliori vizi e delle peggiori virtù umane.
E potrete assistere alla lotta di costoro per la salvezza del paese di Montelfo, minacciato dalle mire espansionistiche- cementificatorie di una ridda di affaristi senza scrupoli e di politici maancheinciucisti.
E' ancora una volta una lotta senza quartiere, una vera e propria lotta tra il bene e il male, perchè in gioco non c'è solo la sorte del piccolo paese di montagna, bensì quella di uno stile di vita, anzi di una civiltà che non perde di vista le cose veramente importanti e che non si fa abbagliare dal superfluo e dal dannoso conto la inciviltà del profitto, del tutto e subito e dell' apparenza senza memoria.
Ancora una volta Benni, usa la penna per mettere in guardia eserciti di cittadini (intesi come umani-urbani, i suoi lettori) che vivono la propria esistenza seguendo, anzi subendo, un modello di vita teso al consumo in quanto tale, individualista all' estremo ed in definitiva sempre più lontano dalla propria vera natura. Lontano dalla Natura.
Certo, detto così sembra progetto letterario piuttosto ambizioso oltrechè pesante e invece Benni dipinge questa lotta con la sua personale, lievissima, tavolozza fiabesca.
Inventa personaggi deliziosi quanto improbabili e a ciascuno mette in bocca una favola (o una parabola se vogliamo), finendo per dar vita ad un racconto corale (il Bar Sport in fondo è un luogo ove ognuno racconta la sua storia) che si snoda veloce sino al commovente epilogo.
Una lettura leggera e salutare, che ricorda a tutti noi quanto sia facile dimenticarsi di ciò che è veramente importante e di quanto altrettanto facile possa essere spendersi all'inseguimento di vane apparenze.
Sempre utile.

PS: introduco il servizio "Se ti è piaciuto questo, prova anche quest'altro". In questo caso il suggerimento di lotta appenninico ambientalista è Guerra agli umani di Wu Ming 2.

mercoledì 16 dicembre 2009

Avoledo e l'elenco telefonico di Atlantide


L' opera prima di Tullio Avoledo, friulano, bancario prestato alla scrittura o forse scrittore prestato all' ufficio legale di una banca di Pordenone, è un romanzo che si intitola "L'elenco teleonico di Atlantide".
Già un titolo può far presagire qualcosa del contenuto di un libro. Ebbene, in questo caso la copertina ci offre almeno un indizio per indovinare cosa si troverà tra le pagine di questo romanzo.
Atlantide e l' elenco telefonico infatti, sono due cose che stanno insieme come cozze e nutella e questo del titolo non sarà il solo "ponte concettuale" che il lettore dovrà gettare tra un tema e l' altro durante la lettura.
Preparatevi, perchè Avoledo se ne frega della verosomiglianza e vi porterà a spasso tra le sue fantasie più scellerate, senza riguardo alcuno per la logica, tanto è un racconto di fantascienza, no anzi un thriller fantasy. Anzi no, un racconto grottesco.
Insomma, il nostro Tullio cambia registro ed argomenti con grande (forse troppa) disinvoltura, mettendo insieme di tutto e dopo un avvio piuttosto lento (forse inizialmente voleva fare un altro racconto?) la storia prende quota sino a diventare davvero avvincente e divertente.
Il protagonista, un autobiografico impiegato di banca, si troverà a fronteggiare una cospirazione mondiale che vedrà coinvolti nell' ordine: seguaci di antichi Dei egizi, gli stessi Dei egizi, strampalati appartenenti alla setta segreta dei Rosacroce e raffinati impostori. I
l ritmo, così come gli argomenti non mancheranno, così come la voglia di vedere come finisce.
Certo, occorre firmare un contratto con lo scrittore piuttosto oneroso, dove la realtà è sempre quella che scrive lui, salvo quando non scrive qualcosa di diverso, ma alla fine il compenso è una lettura molto divertente. E scusate se è poco.

Avvertenza: è un classico libro che non si può leggere facendo molte pause, rischio di non ricordare e capirci nulla.

Avvertenza 2: se non è piaciuto American Gods di Neil Gaiman, meglio non avvicinarcisi (a buon intenditore...)

giovedì 10 dicembre 2009

Recensioni d'essai: GranTorino di Clint Eastwood

Questa settimana ho finalmente recuperato una mancanza che avevo accumulato durante la precedente stagione cinematografica. Ho affittato il cd di "GranTorino", penultima fatica dell' ottuagenario Clint Eastwood.

In molti me ne avevano parlato bene e così, quando si è presentata l'occasione l' ho scelto.
E' la storia di un vecchio (proprio lui, il monolitico Clint) pensionato americano, ex-operaio della Ford e reduce della guerra di Corea, che resiste ad abitare in un quartiere che piano piano si è trasformato in una sorta di Chinatown (anzi, Hmong-town, ma per lui è lo stesso).
Il vecchio Walt è un vecchio razzista, che mal digerisce l' invasione di quelli che per lui sono "musi gialli". E' tuttavia un tipo tutto di un pezzo e così come tiene alta la bandiera dell'americanità, lui che di cognome fa Kowalski, così mal digerisce i soprusi che una gang di teppisti asiatici infligge ai suoi vicini di casa.
E così, anche se un pò fuori tempo massimo, il Texano dagli occhi di ghiaccio, torna a vendicare le ingiustizie, menando cazzotti e fucilate.
Poco a poco, il vecchio Walt, dapprima rigido e irremovibile, scoprirà come recuperare il rispetto delle persone, perfino dei "musi gialli" e sopratutto l' amore per la vita.

Perchè GranTorino? Il titolo è tratto dal nome di un coupè della Ford, icona sportiva degli anni '70 (era l' auto di Starsky), che il nostro possiede e che tratta con cura maniacale. E proprio l'auto, sarà al centro di un evento che costituirà il punto di svolta nell'esistenza del protagonista.
Il film sfrutta un meccanismo che Clint ha dimostrato di saper usare benissimo già con Million Dollar Baby. Il duro che si scioglie e poi lacrime finali. La pellicola è sicuramente godibile e raggiunge i suoi scopi (oltrechè un discreto successo al botteghino), tuttavia debbo dire che mi aspettavo di meglio. Mi è sembrato tutto costruito con molto mestiere, con Eastwood che gigioneggia alla grande nel suo classico (e unico?) ruolo e con una sceneggiatura organizzata per commuovere.
Onesto e ben fatto, ma niente di più.
E per te? Vota il sondaggio! (ma anche no, insomma...)

domenica 6 dicembre 2009

Ecco un titolo da evitare: A serious man.

Ci sono sere che vuoi andre al cinema e, se anche in cartellone non ci sono film che ti attraggono, scegli il meno peggio, paghi il biglietto e ti accomodi in platea.
Stasera è andata così che ci siamo presentati a vedere "A serious man" dei fratelli Coen.

Non sono un raffinato cinefilo, il mio genere di film preferito è spettacolare, divertente e - di solito - a lieto fine, lo ammetto.
E tuttavia, la proiezione di questa sera resterà nella mia memoria come una delle (scegliete voi il termine più appropriato)**ate più pazzesche che mi sia mai capitato di vedere.
Si è trattato di 105 minuti di film lento all' inverosimile, farcito di sfighe e complessi psicologici che neppure Woody Allen in crisi avrebbe mai prodotto. Il protagonista, un insipido professore universitario, è sopraffatto da tutto. Dalla moglie, dall' amante di lei, dai rudi vicini di casa, dai figli che gli rubano i soldi, dal fratello che gli scrocca la vita, dai commericanti di dischi per corrispondenza, dagli studenti che lo ricattano e perfino dai rabbini cui si rivolge per ottenere conforto. Quando sembra essere in procinto di ricevere finalmente una buona notizia, il latore della medesima, muore di infarto.
Forse il motivo  di tanta sfiga è da ricercare nei primi 10 minuti di film (in yiddish), dove si assiste all' omicidio di un rabbino, avvenuto secoli orsono in Germania e che pare scatenare una maledizione. Ma chi lo sa?
Insomma, un pò Forrest Gump, un pò Fantozzi ebreo del Minnesota che però non intenerisce e non fa neppure ridere, anzi, innervosisce con il suo continuo ed implacabile subire.
L' amara ironia che talvolta strappa sorrisi alla platea, così pure come le facce di alcuni dei protagonisti, non bastano a scongiurare un giudizio pessimo, condiviso pressochè da tutti i partecipanti alla proiezione.

Concludendo: da evitare come la peste.

Dieci cose di me. Strane forti...

Alf (mannaggia a lui! :)) mi coinvolge in un gioco in cui dovrei riuscire ad elencare dieci cose insolite o curiose che mi riguardino. Si tratta di un meme, una sorta di passaggio di consegne che ricevi da un blogger e, dopo aver dato il tuo contributo, inoltri a un terzo.

1. Deve esserci un nome per questa cosa, ma non lo conosco. Comunque se penso agli occhi, intendo dire il globo oculare, svengoooo..........
Va da sè che oltre ad aver rinunciato a fare l'oculista, non posso neanche immaginarmi con lenti a contatto.



2. Ogni sera, prima di andare a letto, controllo che la porta sia chiusa a chiave. Normale certo, se non fosse che chiudo ogni volta che entro.

3. Quando vado all stadio ed ascolto l'inno della Fiorentina, mi commuovo come le ascelle di un iper-obeso a ferragosto.

4. Odio volare. Anzi, ho il terrore.

5. Non sopporto i piatti che contengono il vitello da latte.

6. Sulla mia testa ho più rose di un vivaio ed i miei capelli vivono di vita propria. Disordinata.

7. Conservo il desiderio di rendere tonico il mio corpo (di per sè già mirabile esempio di armoniche proporzioni). A questo scopo, nel tempo ho acquistato (e poi regalato causa nessun utilizzo) cyclette, tapis roulant, vogatore. Quando accendo la Wii Fit, non mi rivolge la parola perchè non mi riconosce: credo farà la stessa fine. Ometto le annualità pagate di palestra, senza aver mai frequentato..

8. Possiedo una bellissima chitarra elettrica, per suonare la quale conosco i rudimenti. Ma sono negato, per cui strimpello sempre gli stessi accordi. Ma mi diverto lo stesso e forse, in un' altra vita, imparerò.


9. Ho un piede più grande dell' altro. Non di molto, mezzo numero, ma vi assicuro che è davvero un problema. Se conoscete qualche negoziante che lamenta di aver trovato paia di scarpe con le taglie spaiate, sono stato io o uno come me.

10. Infine, non metto lo zucchero in nessuna bevanda.

Mica facile elencarle queste dieci particolarità e per far un un gradito omaggio, investo della missione Antonella col suo blog :)

martedì 1 dicembre 2009

Il simbolo Perduto di Dan Brown

Appartengo alla schiera di lettori affatto snob, che all' uscita del Codice da Vinci di Dan Brown, lo celebrarono come un bellissimo romanzo d'avventura.
Non stupisca quindi che appena uscita l' ultima fatica dell' autore americano, io abbia approfittato dell' immancabile -30% di sconto all' Esselunga per procurarmi una copia del voluminoso tomo.
Rilegato da libro serio, oltre 640 pagine di racconto, Il simbolo Perduto è il volume più ingombrante della mia biblioteca. Vinta l' ansia da prestazione, ho iniziato la lettura.

Da subito, ho compreso che l' amico Dan avrebbe seguito il detto "squadra che vince non si cambia". Non parlo solo del protagonista, ma anche degli ingredienti della storia e della costruzione della trama, con un incipit molto simile a quelli dei precedenti racconti.
Pronti via infatti, ci si trova coinvolti nell'ennesima caccia al tesoro con annessi enigmi ed ordini mistici occulti, i quali custodiscono segreti di immane portata, in grado di cambiare il mondo al loro disvelarsi.

Ecco, per un detrattore del nostro scrittore, la recensione potrebbe chiudersi così.
Non c'è molto da dire infatti sul monoepressivo Robert Langdon, il protagonista della saga, il cui spessore è di molto inferiore anche a quello del libro. Di lui si sa soltanto che si sveglia ogni mattina ad ore antelucane per farsi un numero esagerato di vasche in piscina e che insegna con buon successo simbologia all' università. Ah! Dimenticavo, da piccolo è scivolato in un pozzo e ne è rimasto traumatizzato, procurandosi una violenta forma di claustrofobia (oltrechè che una sfiga pazzesca, poiché ogni racconto gli capita di essere rinchiuso in qualche tipo di bugigattolo...).
Per intenderci, altro che Tom Hanks, dovevano farlo interpretare a Steven Seagal il film!

Però.
Però io non sono un detrattore a tutti i costi. Ed allora debbo proprio ammettere, che pur senza stregarmi (cosa invece successa col Codice), questo romanzone d'avventura, mi ha intrigato ed avvinto dalla prima all'ultima pagina.
Ritmo incalzante e colpi di scena che si susseguono con una frequenza talmente elevata da non farti neppure soffermare sulla bontà degli stessi.
Concludendo, non è roba per palati fini, ma un emozionante e ben congegnato racconto d'avventura, senza altre pretese che quella di far divertire. E vendere.

Il vostro blog della sera, lo ritiene ideale per una lettura digestiva dopo il pranzo di Natale.